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Oggi recensione del film Ex Machina; era da tempo che non scrivevo a proposito di un film! Ti informo da subito che sarà questa qui una review molto da spoiler, per necessità: se non desideri rovinarti il film, nel caso tu voglia guardarlo, non ti consiglio di proseguire con la lettura; altrimenti, procedi pure!

ex machina recensione

Non sono molto affascinata, di solito, dai film di fantascienza, quanto in particolare dai film in cui si tratta di intelligenza artificiale, sinteticamente indicata con la sigla AI. Quando ho guardato, casualmente, il trailer di Ex Machina mi sono incuriosita.

Caleb è un giovane programmatore, il quale lavora per l’azienda che possiede il più grande motore di ricerca del mondo, che non è Google, ma è Bluebook. Come viene anche spiegato, il nome di questo potente motore di ricerca è un riferimento al titolo del saggio del filosofo e logico austriaco Ludwig Wittgenstein, The Blue and Brown Books. Che lo dico a fare: queste cose mi mandano in estasi – ho studiato Wittgenstein e la mia tesi di laurea triennale è stata sulla logica non classica applicata all’AI, che devo aggiungere?Torniamo a Caleb!

film ex machina

 

Il nostro programmatore vince un concorso e riceve come premio una settimana da trascorrere nell’immensa tenuta di montagna del suo datore di lavoro, nonché inventore di Bluebooks, Nathan. Giunto nella sua tenuta, Caleb scopre che in verità il concorso era un modo per scegliere un programmatore capace di testare un esperimento condotto da Nathan stesso. Il visionario inventore di Bluebook gli mostra Ava, un prototipo evoluto di AI, da lui battezzato Ava. Così, ogni giorno per circa una settimana, Caleb deve mettere alla prova Ava, secondo la logica del test di Turing. La prova è superata se Ava dimostra di essere capace di nascondere ad un utente umano la propria natura artificiale.

ex machina trama

Ben presto viene fuori la natura megalomane e ossessiva di Nathan, il quale vive di fatto isolato da tutto e da tutti, in un’abitazione che è un vero e proprio bunker/laboratorio, sorveglia ogni cosa e appare essere anche estremamente diffidente. Caleb, infatti, si rende conto ben presto della “sensibilità” di Ava, che inizia a manifestargli, durante i loro colloqui, desideri e pulsioni sentimentali; quando Caleb scopre che Ava non è affatto il primo esemplare di AI e che, nel caso lui dovesse dare conferma a Nathan che non è in grado di superare il test di Turing, verrebbe formattata e messa da parte, organizza un piano per liberarla e scappare con lei. Va tutto clamorosamente a rotoli: Nathan scopre il piano e svela a Caleb che Ava è assolutamente in grado di bluffare e di sfruttare qualcuno per i propri scopi. Ava riesce a scappare da sola, mentre Nathan e Caleb fanno una ben misera fine.

Ecco, io non so dire se questo film mi sia piaciuto o meno. Per il momento è più un no che un sì. Riflettendoci, mette in gioco diverse tematiche interessanti ma in fin dei conti non proprio originali. Quello che mi ha colpito è stata l’atmosfera molto tetra che ha caratterizzato tutto il film: forse era anticipazione dell’epilogo drammatico. Nathan è un personaggio che non ho apprezzato: è un genio, totalmente solo, troppo diffidente, troppo un “tipo”. Eppure, Nathan non è sempre biasimabile nel suo atteggiamento scientifico nei confronti dei prototipi. Egli di fatto è un inventore e prova, sperimenta: ovviamente, tratta l’oggetto della sua invenzione in quanto tale e lo perfeziona.

Eppure, quando si inizia a parlare di AI e della capacità della macchina di replicare emozioni e sentimenti umani, non è difficile sviluppare una sorta di sensibilità: Caleb viene colpito da Ava a tal punto da non poter ammettere che essa possa venir “spenta”. Dl punto di vista dell’essere umano, lo spegnimento di una macchina così intelligente e apparentemente “senziente” sembra una condanna a morte. A suo modo, l’AI è un inganno: il robot simula, ovvero replica, in modo così verosimile gli esseri umani che si è automaticamente portati a trattarli come tali. Nathan, piuttosto, è oggettivo e d’altro canto è questo che si richiede ad uno scienziato: è veramente così cinico? Ce lo chiediamo sempre, ogni qual volta l’attualità ci mette davanti alla sperimentazione animale, al consenso informato, agli obiettori di coscienza e via dicendo.

L’epilogo mi lascia un po’ perplessa: di fatto, la macchina si ribella al suo inventore e a chi era pronto ad aiutarla. Ava non è il solo robot, anche Kyoko – tuttofare di Nathan – lo è: è lei la prima a colpire Nathan per ucciderlo. Dal canto suo, Ava imprigiona Caleb per impedirgli di scappare. Ava è cattiva? A questo punto mi vien da fare una domanda: il test di Turing viene superato quando l’AI dimostra di saper ingannare? Ava dimostra di saperlo fare, come dimostra anche qualcosa che difficilmente attribuiamo ad un qualcosa di artificiale: manifesta spirito di sopravvivenza, furbizia, opportunismo.

ex machina finale

Certo, esistono intelligenze artificiali in grado di apprendere da sole – sono sistemi adattivi – ma avere la percezione della morte è ben più complesso e, immagino, l’istinto di sopravvivenza appartiene agli esseri che, con consapevolezza o inconsapevolmente, sanno di essere mortali. In che modo una macchina può essere spaventata da questa prospettiva? Magari non è questo, magari la macchina vuole solo apprendere altro del mondo ed è per questo che scappa dalle quattro mura in cui è rinchiusa. Credo che il finale faccia intendere che il test di Turing è superato e, ripeto, credo che questo dipenda dall’inganno – ciò non fa molto onore alla nostra specie. Eppure, benché siano sorte in me mille domande dal taglio piuttosto filosofico – fammelo passare! – è la natura di queste che non mi fanno piacere il film nel globale: sono e restano domande le cui risposte, per ora, non possono che essere o troppo aperte o indeterminate. In altre parole, per il momento chiacchieriamo di AI e altro non possiamo fare. Esattamente come abbiamo fatto dopo aver guardato tanti altri film di fantascienza.

Alla prossima pellicola,

Bruna Athena